STUDIO LAFFRANCHI DI RADIOLOGIA E TERAPIA FISICA
Studio Medico polispecialistico presente in Como dal 1961

 

DIECI ANNI DI ESPERIENZA NELLA PREVENZIONE E NELLA CURA DELLE LESIONI DA RAGGI ACUTE E CRONICHE

Dr. Alberto Laffranchi, Dr. Giorgio Secreto, 
Prof. Ing. Sergio Serrano(1) 

Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
V. Venezian, 1 - 20133 Milano

(1) Centro di Ricerche in Bioclimatologia Medica, Biotecnologie 
e Medicine Naturali dell'Università degli Studi di Milano
V. Cicognara, 6 - 20129 Milano

Riferimento: Dr. Alberto Laffranchi 
Specialista in Radiodiagnostica e Radioterapia
Tel 23902.671 / 556. E-mail: laffranchi@istitutotumori.mi.it


Abstract: gli autori in questo lavoro presentano i risultati di 10 anni di studi sulla cura e prevenzione dei danni da raggi utilizzando come terapie l'Ossigenoterapia in Camera Iperbarica, la Magnetotrerapia, l'Omotossicologia, l'Omeopatia e la Fitoterapia, variamente combinate tra loro a seconda delle circostanze.

La casistica si riferisce a 111 pazienti, 50 suddivisi tra osteradionecrosi (ORN) della mandibola non responsive all'ossigenoterapia in camera iperbarica e il trattamento delle lesioni cutanee acute, sub-acute e croniche, 61 trattati per la prevenzione delle lesioni da raggi.

I casi di guarigione delle ORN sono stati 15 su 24 casi esaminati, mentre il 100% di guarigione si è osservata nelle lesioni cutanee acute. Di rilievo il fatto che, grazie all'uso della magnetoterapia, nell'eritema bolloso la guarigione sia avvenuta contemporaneamente in tutti i punti delle lesioni, con restitutio ad integrum della cute, in tempi variabili tra i 5 giorni e le 4 settimane, ma con la netta riduzione della sintomatologia algica fin dalla prima seduta di trattamento.

Una parte del lavoro è stata dedicata alla prevenzione delle lesioni da raggi. 
I risultati ottenuti sono di rilievo e ripetibili.

Parole Chiave: Osteoradionecrosi, Eritema da Raggi X, Radiodermite, Magnetoterapia, Omeopatia, Omotossicologia, Fitoterapia, Ossigenoterapia in camera iperbarica.

Un particolare ringraziamento per la collaborazione a: 
Dr. Franco De Conno, Dott.ssa Augusta Balzarini, alle Fisioterapiste/i,
Dr. Luigi Costa, Dr. Stefano Podrecca,
Dott.ssa Vera Burghignoli e all'Ing. De Sanctis Vinicio 

Dr. Roberto Molinari (2), Dr. Pietro Salvatori (2)

Dr. Paolo Montanaro (3)

Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
(2) Istituto Ortopedico Galeazzi - Milano- UO di Chirurgia maxillo-facciale
(3) Casa di Cura San Pio X - Milano. Servizio di Radioterapia


TEN YEARS OF EXPERIENCE IN THE PREVENTION AND TREATMENT OF ACUTE AND CHRONIC RADIATION-INDUCED LESIONS at the National Cancer Institute, Milan

Dr. Alberto Laffranchi, Dr. Giorgio Secreto, 
Prof. Ing. Sergio Serrano(1) 

Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
V. Venezian, 1 - 20133 Milano

(2) Centro di Ricerche in Bioclimatologia Medica, Biotecnologie 
e Medicine Naturali dell'Università degli Studi di Milano
V. Cicognara, 6 - 20129 Milano

Corresponding author: Dr. Alberto Laffranchi, Istituto Tumori di Milano
Tel +39 0223902.671 / 556; email: laffranchi@istitutotumori.mi.it


Abstract. The results of a 10-year study on the treatment and prevention of radiation-induced damage are presented, using oxygen therapy in a hyperbaric chamber, magnetotherapy, homeopathy homotoxicology and phytotherapy, according to circumstances.

We refer to 111 patients with either radionecrosis of the mandible not responsive to oxygen therapy or acute, sub-acute and chronic skin lesions. We also refer to the prevention of x-radiation-induced skin lesions, particularly erythema. The results obtained were substantial and repeatable following our treatment schedules. 

In 15 of the 24 patients with mandibular radionecrosis complete cure was obtained; complete cure was also obtained in all cases of acute skin lesions. Use of magnetotherapy in cases of erythema bullosum resulted in simultaneous healing of all parts of the lesions, with complete restoration of skin integrity in 5 days to 4 weeks, but with clear reduction of pain from the first treatment session.

Key words: Osteoradionecrosis, X-ray induced erythema, Magnetotherapy, Homeopathy, Homotoxicology, Phytotherapy, Oxygen therapy.

The authors thank the following for their collaboration: 
Dr. Franco De Conno, Dott.ssa Augusta Balzarini, alle Fisioterapiste/i,
Dr. Luigi Costa, Dr. Stefano Podrecca,
Dott.ssa Vera Burghignoli e all'Ing. De Sanctis Vinicio 

Dr. Roberto Molinari (2), Dr. Pietro Salvatori (2)

Dr. Paolo Montanaro (3)

Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori
(2) Istituto Ortopedico Galeazzi - Milano- UO di Chirurgia maxillo-facciale
(3) Casa di Cura San Pio X - Milano. Servizio di Radioterapia


Premessa

Nel 1992 giunse alla nostra osservazione un paziente affetto da osteoradionecrosi dell’emimandibola destra non responsiva all’ossigenoterapia in camera iperbarica, complicata da frattura patologica, sequestro osseo e fistola osteo-cutanea. Si prospettava come soluzione del problema l’intervento di demolizione e ricostruzione dell’emimandibola. Sebbene l’intervento chirurgico sembrasse essere l’unica strada percorribile per risolvere il problema, basandoci sulla fisiopatologia delle osteoradionecrosi, pensammo che valesse la pena di effettuare un estremo tentativo conservativo con la magnetoterapia, utilizzata come unica cura.

La risposta, considerando che in Italia era la prima volta che veniva tentata una cura di questo tipo per il trattamento dell’osteoradionecrosi, fu sorprendente: in meno di un mese si osservò l’eliminazione del sequestro e la fistola si chiuse. Entro tre mesi costatammo la comparsa di piccolo, ma funzionalmente valido, ponte osseo (Fig. 1).

Questo è stato il caso clinico che ha dato l’avvio all’introduzione da parte nostra di nuovi criteri di cura delle lesioni da raggi, non fondati esclusivamente su interventi chirurgici o farmacologici, ma basati soprattutto su presupposti biofisici.

In seguito, dal 1998, dopo la conferma dell’efficacia della magnetoterapia su una decina di pazienti, abbiamo ritenuto importante affiancare, alle terapie comuni a tutti i pazienti e ormai di provata efficacia, cure personalizzate scelte in base alle situazioni cliniche uniche e peculiari di ogni paziente.

A questo scopo ai Campi Elettromagnetici abbiamo aggiunto i Farmaci Omeopatici, la Fitoterapia, gli Integratori Alimentari e l’Ultrasuonoterapia, variamente combinati tra loro, scelti di volta in volta in base alle variazioni della sintomatologia presentata dai pazienti.  

Lo scopo di questo lavoro è quello di illustrare, attraverso la sintesi dei casi clinici più significativi, approcci terapeutici nuovi che basano la loro efficacia su principi e meccanismi d’azione prevalentemente biofisici, per la cura e prevenzione delle lesioni da raggi cutanee, mucose e scheletriche. 

Introduzione 

La fisiopatologia dell’osteoradionecrosi (ORN) delle ossa facciali è determinata dalla contemporanea presenza di Ipovascolarizzazione, Ipocellularità e Ipossia tessutale (in inglese, le tre H di Marx). Si manifesta di norma in un arco di tempo compreso fra i 3 ed i 27 mesi dal termine della radioterapia, ma non sono infrequenti casi insorti dopo 5 o più anni.

La prevenzione dell’osteoradionecrosi è significativa se attuata con interventi mirati di bonifica dentale eseguiti prima della radioterapia.

L’estrazione dentaria in un territorio precedentemente irradiato è la principale causa scatenante dell’ORN.

Studi mirati hanno dimostrato un’effettiva riduzione dell’incidenza dell’ORN eseguendo sedute di ossigenoterapia in camera iperbarica, prima e subito dopo l’avulsione dentale, rispetto all’antibiotico terapia che non si è mai rivelata efficace nel prevenire l’ORN (Marx).

 La tossicità delle radiazioni ionizzanti utilizzate in terapia radiante, come è noto, è determinata dalla qualità del fascio radiante, dal tipo dei tessuti inclusi nel campo di radioterapia, dalla dose per frazione, dalla dose totale e dalla sensibilità alla radioterapia dei singoli tessuti coinvolti.

Gli effetti acuti della radioterapia su cute e mucose consistono generalmente nella risposta infiammatoria, eritema cutaneo, pigmentazione o mucosite. Questo tipo di lesioni è più frequente nella radioterapia palliativa, dove spesso sono richieste alte dosi giornaliere da somministrare in 1 o 2 settimane.

I danni tardivi possono insorgere a distanza di anni dal termine della radioterapia, anche in territori dove in precedenza non si erano osservate lesioni acute. Sono più gravi se colpiscono tessuti con scarsa capacità rigenerativa, come il cervello, i nervi periferici ed il polmone. La fibrosi è il tipo di danno tardivo più comune e si può osservare in numerosi tessuti, compresa la cute.

Perché alla presenza di lesioni da raggi potrebbe essere utile la magnetoterapia?

 MAGNETOTERAPIA DI RISONANZA

 Le cellule costituenti i tessuti dell’Organismo hanno forma diversa secondo il tessuto biologico al quale appartengono. Tale diversità di forma provoca una differenza nella polarità di membrana, una differenza nella corrente endogena che le attraversa, e quindi una differenza anche nel campo magnetico a loro associato.

Il campo magnetico cellulare è strettamente legato alla massa-forma della cellula in esame. Una dimostrazione pratica di tale realtà è la RNM (Risonanza Magnetica Nucleare) che riesce a creare immagini dei tessuti in esame discriminando il diverso campo magnetico endogeno di ogni cellula.

In magnetoterapia di risonanza le cellule del tessuto bersaglio vengono sollecitate con campi magnetici esterni che hanno le stesse caratteristiche fisiche dei campi magnetici endogeni alle cellule stesse.

Nella progettazione dei campi magnetici terapeutici occorre tener presente che si agisce su tessuti biologici vivi e che le caratteristiche dei campi magnetici cellulari sono in continua evoluzione, seguendo il progetto di salute o di malattia dell’Organismo (Omeostasi biochimica/energetica).

A questo proposito, occorre utilizzare i concetti della teoria dei frattali che ci consente di valutare con che precisione sia necessario realizzare i campi magnetici terapeutici rispetto alle caratteristiche dei campi magnetici bersaglio. In questa fase è importante considerare come il comportamento dei sistemi complessi, quali quelli biologici, segua regole di non linearità che descrivono il continuo cambiamento dei sistemi stessi.

Tale cambiamento, quando è fisiologico, è sempre soggetto a controllo. Sulla base di modelli matematici, si possono descrivere le evoluzioni (traiettorie) dei sistemi dinamici secondo il concetto di attrattore che descrive compitamente, seppur in modo statistico, le tendenze biologiche dei parametri in studio.

Per concludere è possibile realizzare campi magnetici terapeutici di risonanza in grado di spingere il tessuto biologico bersaglio verso lo stato di equilibrio biodinamico opportuno che corrisponde allo stato di omeostasi energetica/biochimica compatibile con lo stato di salute del paziente. 

Le apparecchiature presenti in commercio e da noi utilizzate sono costituite da una centralina di comando e da un’antenna periferica che emette campi elettromagnetici pulsati a bassa intensità e frequenza.

Sintesi degli effetti dei Campi Magnetici pulsati che abbiamo giudicato particolarmente importanti per i nostri scopi: 

  • effetto anti-infiammatorio,

  • stimolo riparativo indotto dai campi elettromagnetici sul tessuto osseo,

  • azione angiogenetica,

  • effetto ossigeno.

  Se confrontiamo gli effetti biologici della magnetoterapia con la fisiopatologia delle lesioni da raggi, non possiamo che constatarne la corrispondenza.

E’ su queste basi che abbiamo costruito il nostro approccio terapeutico, sia per il trattamento delle osteoradionecrosi, sia successivamente, per la cura delle lesioni acute e croniche di cute e mucose.

 

Perché utilizzare farmaci di derivazione omeopatica?

  Dal  1998 abbiamo iniziato ad utilizzare farmaci omotossicologici. L’omotossicologia è una scienza medica relativamente nuova, nata in Germania negli anni trenta e ideata da Hans Heinrich Reckeweg (1905-1985), medico, musicista, ricercatore di biologia all’Università di Berlino, contemporaneo e collega di Krebs. Letteralmente omotossicologia sta per “studio delle intossicazioni dell’uomo” partendo da un’interessante considerazione Reckeweg ha rivisto il concetto di malattia proponendo un’originale, quanto efficace definizione: la malattia altro non è che l’espressione di modalità, geneticamente determinate e dipendenti dal sistema immunitario, che l’organismo mette in atto per eliminare uno stato tossico. Questa definizione, apparentemente semplice e forse scontata, racchiude in sé una vera rivoluzione nell’approccio terapeutico. Infatti, seguendo questo ragionamento, possiamo cominciare a intravedere la malattia sotto una nuova luce, considerandola come una tappa necessaria affinché un organismo malato possa eliminare le sostanze tossiche, definite da Reckeweg “omotossine”. Secondo questa visione, qualunque organismo è continuamente attraversato da un’enorme quantità di tossine esogene (batteri, virus, tossine alimentari, fattori di inquinamento ambientale, ecc.) ed endogene (prodotti intermedi dei diversi metabolismi, cataboliti finali, ecc.).

Se questo è vero, si può pensare che la modalità corretta di terapia non sia quella di utilizzare farmaci che agiscono elettivamente bloccando i meccanismi della nostra difesa, atti a promuovere le varie fasi della malattie.

Come esempio consideriamo un gruppo di farmaci di larghissimo consumo, forse il più studiato scientificamente e che tutti conosciamo: i derivati dell’acido salicilico, il più noto dei quali è l’acido acetilsalicilico.

 

Come agiscono i salicilati?

In vitro i salicilati hanno evidenziato le seguenti azioni: inibizione della liberazione di istamina, stabilizzazione delle membrane lisosomiali, azione chemiotattica e inibente la sintesi delle prostaglandine, interferenza con la fosforilazione ossidativa; in vivo essi antagonizzano i farmaci ad azione uricosurica, provocano ipoprotrombinemia (reversibile dopo somministrazione di Vitamina K1). Per queste caratteristiche l’acido acetilsalicilico ha azioni analgesica, antipiretica, antiflogistica (o antireumatica) e antiaggregante piastrinica. Inoltre, può provocare iperglicemia per riduzione delle glicolisi aerobica, aumento delle glicogenolisi epatica e dell’attività corticosurrenale. A dosi elevate può dare diminuzione della colesterolemia, della glicemia e dell’uricemia, ma ai dosaggi terapeutici più facilmente può dare ritenzione di urati.

Tossicità dei salicilati: nausea, vomito e gastralgia sono gli effetti collaterali principali. Questi sintomi sono l’espressione di fenomeni di irritazione o di vere e proprie lesioni (erosioni) a carico della mucosa gastrica indotte da turbe della microcircolazione e della secrezione di muco, che possono portare all’emorragia microscopica o macroscopica al perdurare della cura. E’ noto che queste alterazioni sono presenti in quasi la totalità dei pazienti che assumono i salicilati.

Riassumendo, abbiamo imparato ad utilizzare l’acido acetilsalicilico in un dolore articolare dovuto ad una patologia infiammatoria artritica, che ne rappresenta l’indicazione elettiva, per le sue azioni antiflogistica e analgesica. In altri termini, lo utilizziamo perché sappiamo che la sua azione determina il blocco dei meccanismi fisiopatologici che inducono lo stato flogistico ed il conseguente dolore.

E’ a questo punto che l’omotossicologia diverge dalla Medicina studiata all’Università e da noi applicata routinariamente. Infatti, riprendendo il discorso dell’intossicazione, Reckeweg ci suggerisce che una qualunque manifestazione patologica, ad esempio lo stato infiammatorio di un’artrite, altro non sia che una specifica espressione fisiopatologica dell’organismo, messa in atto nel tentativo di eliminare un generico “stato tossico”. Utilizzare l’acido acetilsalicilico, dunque somministrare un farmaco sintomatico che agisce “bloccando” i meccanismi fisiopatologici che inducono la flogosi, potrà dare solo sollievo temporaneo, ma non eliminare la causa di fondo, che è, secondo questa originale interpretazione, lo stato tossico. Il suo persistere provocherà, prima o poi, un nuovo attacco artritico, oppure un’altra malattia, magari etiologicamente diversa dalla prima, ma che per il nostro sistema immunitario assume lo stesso valore: promuovere l’eliminazione, attraverso una malattia, dello stato tossico presente.

 

Fatta questa breve introduzione sul significato dell’omotssicologia, sorge spontanea una domanda: ma si può davvero guarire utilizzando solo i rimedi Omeoptici e quelli Omotossicologici?

Non bisogna dimenticare che Reckeweg è un medico e per questo il suo operare non può prescinde dai criteri di inquadramento etiopatogenetico della Medicina. Il primo passo è la formulazione di una diagnosi; questa a sua volta viene raggiunta attraverso l’identificazione delle cause, delle condizioni soggettive, alimentari ed ambientali, che possano aver  favorito l’insorgenza di una malattia (agenti infettivi, sostanze tossiche inalate, intolleranze alimentari, situazioni stressanti, ecc.).

Ciò che veramente differisce e rende l’omotossicologia una scienze medica del tutto peculiare è, dunque, la terapia. La terapia omotossicologica consiste nell’eliminare le cause dello stato tossico agendo sull’alimentazione, sull’ambiente e, se possibile, somministrando sostanze farmacologiche complesse di derivazione omeopatica, al fine di provocare la disintossicazione dell’organismo e riparare gli eventuali danni causati dalle tossine.

Lo stato di salute dunque, secondo questa visione, coincide con l’assenza di una condizione di intossicazione e il mantenimento di un sistema di flusso in equilibrio dinamico, in accordo con la teoria di von Bertanlanffy che definisce un organismo vivente, appunto, un sistema di flusso in equilibrio dinamico.

 

Materiali e metodi

  La nostra casistica comprende 111 pazienti di cui 50 trattati per la presenza di lesioni da raggi tra acute e croniche e 61 trattati per la prevenzione delle lesioni cutanee e mucose.

Dei 50 pazienti con lesioni, 24 pazienti erano affetti da osteoradionecrosi della mandibola (Fig. 1, 2, 3, 4, 5) osservati fra il 1992 ed il maggio ’02; 16 pazienti presentavano eritema bolloso della cute (Fig. 7, 8, 9, 10, 11); 4 lesioni cutanee sub-acute (Fig. 12, 13, 14); infine, 6 pazienti avevano sviluppato lesioni croniche da raggi di mucose e cute (fig. 15).

Il trattamento preventivo delle lesioni da raggi è stato effettuato su 61 pazienti, di cui 43        irradiate alla mammella (Fig. 16); 4 irradiati per linfoma con localizzazioni cervicale e mediastinica (Fig. 17); 6 irradiati per neoplasia della prostata; 2 irradiate per tumore della mammella su un territorio precedentemente già trattato con radioterapia per patologie maligne mediastiniche (Fig. 18, 19).

 

Trattamento delle osteoradionecrosi (ORN).

  In tutti 24 pazienti la terapia di base è stata la magnetoterapia, eseguita a domicilio con apparecchiature portatili che erogano una frequenza di 24/50 Hz con densità di campo di 10/50 Gauss. 

La terapia standard ha previsto due sedute di 30’/die per 5 giorni/settimana, per 3/12 mesi.

Il dolore, le fistole e le lesioni ossee sono state controllate periodicamente con visite cliniche, panoramiche dentali e in alcuni casi RM e TC. Tutti i pazienti al momento della nostra osservazione erano stati pre-trattati con Ossigeno Terapia in camera Iperbarica (O.T.I.), senza ottenere apprezzabili risultati.

Nessun paziente ha sospeso la cura per effetti avversi. Il Follow up è stato di 12/120 mesi.

Tre pazienti hanno manifestato ripresa evolutiva della malattia neoplastica entro sei mesi dall’inizio della magnetoterapia e la cura è stata interrotta.

Una paziente è andata incontro a recidiva neoplastica locale tre anni dopo la cura, senza segni di ripresa di ORN.

Un paziente ha manifestato localizzazioni di malattia in sede latero-cervicale contro-laterale tre anni dopo le cure ed è deceduto a distanza di 5 anni dalla prima recidiva, senza aver mai manifestato segni di ripresa di ORN.

Un paziente, dopo 5 mesi di cura, è stato operato di demolizione/ricostruzione dell’emimandibola destra, per il persistere della fistola osteocutanea.

Un altro paziente, grazie alle cure eseguite per 4 mesi, ha potuto essere operato di demolizione dell’emimandibola, intervento che non era ritenuto realizzabile prima della cura.

Tre pazienti sono attualmente in trattamento.

Nei restanti 14 pazienti si è osservata la guarigione delle ORN senza segni di ripresa evolutiva  della malattia neoplastica (Fig. 1, 2, 3, 4, 5). Per tutti il trattamento di fondo è stato l’uso della magnetoterapia, ma situazioni individuali specifiche sono state via via risolte con terapie specifiche, adattate ad ogni singola situazione clinica. Infatti, grazie all’esperienza che abbiamo maturato in questi ultimi dieci anni e  a quanto sottolineato dalla letteratura, abbiamo identificato nuove  vie per indurre la guarigione delle ORN, dove possibile senza il ricorso ad interventi chirurgici, mediante procedure  mediche che prevedono l’uso di farmaci omeopatici e l’ultrasuonoterapia.

I miglioramenti del trisma, quando presente, sono stati trascurabili.

Riteniamo importante sottolineare che, in presenza di ORN, la perdita della normale continuità del rivestimento della mucosa gengivale, con esposizione dell’osso, rappresenta un segno clinico inequivocabile della persistenza di tessuto necrotico. La mucosa può, infatti, riformarsi solo su un terreno vitale. Per queste ragioni l’eliminazione dei sequestri ossei o dei denti danneggiatati dalla radioterapia, rappresenta un momento fondamentale imprescindibile per  la guarigione delle ORN. D’altro canto, però, l’asportazione chirurgica di residui dentali o frammenti di sequestri ossei, espone il paziente a gravi rischi d’infezione locale ed è la causa scatenante delle ORN.

Marx e  c. nella metà degli anni ottanti, per primi, hanno dimostrato che l’ossigeno terapia in camera iperbarica eseguita prima e dopo l’estrazione dentale è in grado di prevenire l’insorgenza dell’ORN, mentre l’antibiotico terapia non si è mai dimostrata efficace in questo senso. Lavori successivi hanno evidenziato come l’O.T.I. sia in grado di far regredire la fibrosi tissutale e le teleangectasie conseguenti alla radioterapia.

Tutti i pazienti presentati in questo lavoro erano già stati curati mediante sedute di O.T.I., ma non avevano ottenuto i risultati sperati, così come descritto in dettaglio nelle figure (1, 2, 3, 4, 5), anzi, in alcuni casi, l’O.T.I. ne aveva aumentato le reazioni flogistiche.

Un giovane paziente (Fig. 2), già trattato per due anni con 180 sedute di O.T.I. per ORN bilaterale della mandibola, esposizione ossea, fratture patologiche multiple, fistole mucose, era stato candidato alla demolizione dell’intera mandibola. Dall’inizio della magnetoterapia il paziente si era accorto di una rapida modificazione della sintomatologia. Lentamente, nell’arco di un anno e mezzo, si è assistito all’eliminazione progressiva dei sequestri, di denti necrotici e alla completa formazione della mucosa gengivale. Successivamente, a completa risoluzione dei fenomeni necrotici e rigenerazione della mucosa gengivale, dopo l’estrazione dentale di tutti i denti residui presenti alle arcate inferiori, è stato sottoposto con successo a tre cicli di Pamidronato disodico per favorire la rigenerazione del tessuto osseo. Questo ha consentito di applicare alle arcate inferiori una protesi unica a stampo, funzionalmente ed esteticamente valida.

Nel paziente della fig. 3, trattato per oltre un anno con magnetoterapia per ORN conseguente alla radioterapia eseguita 18 anni prima come unica terapia per un linfoma osseo, abbiamo dimostrato, grazie all’uso di un’amperometro professionale, che il riformarsi della necrosi ed il dolore presenti all’emimandibola destra, avevano come causa del loro mantenimento, la presenza di correnti endorali prodotte dal ponte osseo. L’eliminazione del ponte ed il courettage dell’osso hanno risolto il problema. In questo paziente  ci è sembrato che la megnetoterapia, utilizzata a lungo, abbia avuto un ruolo utile nel prevenire una ricaduta di ORN dopo l’avulsione del ponte ed il courettage dell’osso mandibolare. Situazioni chirurgiche note perché fortemente favorenti l’insorgenza delle ORN.

Anche la paziente della Fig. 4, per la comparsa di ORN all’emimandibola destra e flemmone cutaneo, era stata proposta per la demolizione dell’emimandibola. E’ stata la prima paziente a cui abbiamo associato alla magnetoterapia i farmaci omeopatici. In poco più di un mese dall’inizio della’associazione terapeutica antibioticoterapia, magnetoterapia e farmaci omotossicologici si è assistito alla completa risoluzione del flemmone; dopo soli 5 mesi dall’associazione magnetoterapia e farmaci omotossicologici si è osservata la scomparsa dell’otomastoidite destra che era presenta da 5 anni ed in meno di un anno alla guarigione della necrosi ossea.

In una paziente (Fig.5) in trattamento con O.T.I., farmaci omeopatici e magnetoterapia, che presentava frattura patologica, fistola osteocutanea, constatando la persistenza dei sequestri ossei e dentali, abbiamo ritenuto utile utilizzare l’Ultrasuonoterapia per favorire il riassorbimento delle componenti necrotiche e l’eliminazione dei sequestri. La risposa a questa nuova ipotesi di trattamento è stata sorprendente, infatti, in poco meno di un mese di terapia la paziente ha spontaneamente eliminato tutti i sequestri, la fistola si è completamente chiusa e nei due mesi successivi abbiamo assistito alla ricostruzione della mucosa gengivale, segno di risoluzione del processo necrotico.

  Dall’esperienza del trattamento delle ORN non responsive all’O.T.I. sopra esposta, abbiamo potuto derivare alcuni orientamenti terapeutici. Il trattamento da seguire, così come confermato dalla letteratura, non può essere standard, ma occorre adattarsi alle situazioni cliniche che via via si presentano. Il nostro attuale orientamento è quello di eseguire come terapia di base la magnetoterapia, eventualmente associata all’O.T.I.; in caso di flogosi utilizziamo terapie omotossicologiche per favorire la reattività individuale verso le infezioni batteriche ed in particolare da stafilococco (agente patogeno più frequentemente riscontrato); in presenza di sequestri ultrasuonoterapia.

E’, infine, utile intervenire sull’alimentazione, eventualmente anche con l’aggiunta di integratori alimentari, qualora si constatassero segni di malnutrizione dovuti alle notevoli difficoltà di alimentazione che questi pazienti possono presentare.

Trattamento dell’eritema bolloso

  A partire dal maggio 1999 abbiamo trattato 20 pazienti consecutivi affetti da lesioni cutanee acute  e sub-acute da raggi.

4 pazienti presentavano epiteliolisi (Fig.  ), 12 eritema bolloso (Fig.  ), 4 eritema con aree necrotiche (Fig. 13, 14).

Al momento della nostra osservazione, 17 erano donne in trattamento locale per neoplasia mammaria. Di esse 11 pazienti (Fig. 10) non avevano ricevuto altri trattamenti oltre alla terapia topica con pomate a base di cortisone, 8 pazienti, tutte sottoposte a radioterapia per neoplasia mammaria, erano in trattamento topico con fitostimoline da 7 giorni, senza beneficio sul dolore e, infine, una paziente, con una grande (18 x 18 cm) lesione a stampo della parete toracica, era stata trattata per 4 settimane con terapia laser elioneon, senza esito (fig.11).

Abbiamo, inoltre, trattato un uomo anziano con lesione al mento dopo Roёntgen terapia per basalioma (fig. 7), un ragazzo irradiato al gomito (fig. 8) dopo intervento chirurgico per sinovialsarcoma ed in trattamento chemioterapico e infine una signora irradiata alla coscia (fig. 9) dopo intervento chirurgico per rabdomiosarcoma.

Tutti e venti i pazienti erano stati pretrattati con creme cortisoniche durante la radioterapia, allo scopo di prevenire o curare l’eritema da raggi.

Per tutti i pazienti abbiamo interrotto ogni tipo di trattamento in corso ed abbiamo immediatamente iniziato un nuovo regime terapeutico, identico per 18 dei 20 pazienti:

risciacqui con una soluzione di citrato di sodio e saccarosio al 6%, seguita immediatamente da una seduta di 30’ con magnetoterapia a solenoide, 50 Hz e 45 Gauss per 5 giorni la settimana.

L’uomo affetto da lesione al mento (Fig. 12) aveva utilizzato risciacqui di acqua borica al 3%. Nessuno dei 20 pazienti ha dovuto sospendere il trattamento e tutti ne hanno tratto beneficio.

In tutti i casi abbiamo osservato una rapida riduzione del dolore fin dalla prima seduta, con risoluzione completa entro sette giorni dall’inizio della cura.

Nei 4 casi di semplice epiteliolisi (Fig. 6) la risoluzione con “retitutio ad integrum” della cute si è ottenuta entro i 5 giorni di cura.

Nei 12 pazienti con eritema bolloso e nei 4 con eritema ed aree necrotiche, si è osservata una visibile risposta iniziale alla cura già nei primi tre giorni di trattamento, e la completa guarigione, con “restitutio ad integrum” della cute, in un lasso di tempo variabile fra i 7 ed i 30 giorni, dall’inizio della cura.

Nella maggioranza dei pazienti la guarigione è avvenuta contemporaneamente in tutti i punti delle lesioni, passando direttamente dall’erosione dello strato epidermico superficiale, alla formazione completa del tessuto cutaneo, senza passare attraverso la fase di crosta e, soprattutto, senza lasciare segni o cicatrici.

Abitualmente la guarigione delle ampie ferite cutanee, anche nelle lesioni da raggi segue, invece, l’evoluzione descritta da Ranvier nella seconda metà del XIX secolo: il processo di guarigione inizia dalla periferia per interessare, successivamente, il centro delle lesioni, passando attraverso la fase della crosta, alla cui caduta si osserva la sottostante comparsa di tessuto cutaneo sottile e di colorito roseo.

Solo in 6 pazienti si è osservata la formazione di una parziale pseudo-crosta all’interno dell’area ulcerata (fig. 8), senza che tuttavia vi fossero differenze nella durata della sintomatologia, anche se i tempi di guarigione sono sembrati più lunghi del 25% (una settimana in più).

 

Trattamento delle lesioni croniche della cute

  In questo campo la nostra esperienza è limitata a 6 pazienti, di cui due trattati con magnetoterapia e farmaci omeopatici (Fig. 15), 4 solo con farmaci omeopatici e integratori alimentari.

5 pazienti erano portatrici di lesioni, conseguenti alla radioterapia della mammella o della regione sovraclaveare, avvenuta almeno otto anni prima; la sesta paziente, in conseguenza alla radioterapia subita per un tumore ulcerato del canale anale, giudicato inoperabile, era portatrice, da oltre nove anni, di gravissime lesioni del piano perineale, molto dolenti e complicate da escare necrotiche, curate solo con pomate cortisoniche e farmaci analgesici.

In tutti i casi, la risposta sul dolore è stata abbastanza rapida (2/3 mesi) e si è osservata una buona ricostruzione del tessuto cutaneo o mucoso in cinque/sei mesi.

Si è utilizzato un gruppo di farmaci di tipo omotossicologico, comune a tutti i pazienti, cui però sono stati aggiunti preparati omeopatici unitari scelti individualmente secondo la “qualità” del dolore o l’aspetto della lesione, seguendo criteri puramente omeopatici come ad esempio prurito sempre associato a bruciore, segni che suggeriscono l’uso di Radium Bromatum ecc.

Quattro pazienti permangono esenti da lesioni a 24 mesi.

Due pazienti hanno avuto una parziale ricaduta delle lesioni, una a 12 mesi dal termine della cura, l’altra a 36 mesi dalla guarigione clinica, a quattro mesi dalla sospensione volontaria dei farmaci omeopatici di mantenimento.

I criteri di scelta farmacologici comuni sono stati quelli di consigliare una modificazione della dieta, l’introduzione di integratori alimentari ad azione antiossidante, l’assunzione di farmaci omotossicologici “disintossicanti”, oltre a prodotti con azione vascolare e di stimolo sugli apparati renale ed epato-pancreatico.

I farmaci “soggettivi”, scelti in base alle modalità di presentazione del dolore e variamente combinati tra loro sono ANTHRACINUM, ACIDUM NITRICUM, CAUSTICUM, RADIUM BROMATUM e due pomate a base di ARNICA e CAMOMILLA.

 

  Trattamento preventivo delle lesioni cutanee

  Abbiamo utilizzato dei criteri di prevenzione delle lesioni cutanee da raggi su 61 pazienti, di cui 49 per neoplasia mammaria, 4 casi di linfoma del collo e mediastino alto, 6 tumori della prostata e, infine, 2 casi irradiati alla mammella in un territorio già trattato in precedenza per forme neoplastiche coinvolgenti il mediastino.

Questi pazienti sono stati trattati con tre differenti modalità, ma con in comune l’uso topico di una pomata alla camomilla somministrata due volte al giorno, dopo la radioterapia e non meno di 4 ore prima della seduta radiante.

Delle 49 pazienti in terapia per neoplasia mammaria, 17 sono state trattate con la sola pomata alla camomilla; secondo i criteri RTOG/EORTC, di queste pazienti 7 hanno avuto un eritema di grado 1, 10 di grado 2, di cui 7 con desquamazione umida non confluente.

Le restanti 32, invece, sono state trattate con pomata alla camomilla preceduta da risciacqui con acqua borica al 3%; di esse 26 hanno sviluppato eritema di grado 1 (Fig. 16), 5 eritema acuto di grado 2 e in un caso si è osservata la formazione di una piccola epidermolisi cutanea alla ventesima seduta, regredita poi rapidamente senza alcun’interruzione del trattamento radiante, sospendendo prudenzialmente per qualche giorno solo l’uso dell’acqua borica e portando a quattro le applicazioni quotidiane della pomata a base di camomilla.

I 4 casi di linfoma, i 2 casi di trattamento della mammella su cute già irradiata ed i 6 casi di neoplasia prostatica sono stati trattati col seguente schema: al mattino 10 gocce prodotti omotossicologici alcolici ad azione disintossicante, RADIUM BROMATUM e, infine, escludendo i 6 pazienti con neoplasia prostatica, risciacqui con acqua borica al 3% per tre volte al giorno e applicazioni di pomata alla camomilla dopo e almeno 4 ore prima della radioterapia sulla cute irradiata.

Nei 4 casi di linfoma che prevedevano l’irradiazione anche della metà inferiore del volto, si è avuta una discreta (3/4) o marcata (1/3) pigmentazione della cute, senza segni di desquamazione. Nessuno dei 4 pazienti ha avuto mucositi, mentre tutti hanno avuto una riduzione della salivazione con formazione di saliva densa, oltre ad alopecia alla nuca (Fig. 17).

Le due pazienti irradiate alla mammella e già trattate in precedenza per lesioni neoplastiche mediastiniche, hanno avuto un eritema cutaneo pari a 0 secondo la valutazione RTOG/EORTC.

Nei 6 pazienti trattati per neoplasia prostatica i disturbi da loro dichiarati sono stati molto modesti e caratterizzati da disuria e proctalgia insorte nelle ultime fasi del trattamento e risoltesi in pochi giorni dal termine della cura.

In nessuno dei 61 pazienti sono stati osservati effetti avversi alla terapia, né ha dovuto sospendere il trattamento radiante. Tutti sono stati invitati a proseguire il trattamento, così come era stato loro impostato, almeno per altre quattro settimane dal termine della radioterapia, meglio se per otto, con la finalità di ridurre l’entità della pigmentazione cutanea e di favorire il ripristino dell’omeostasi dei tessuti irradiati.

 

Discussione

  Escludendo i pazienti che hanno avuto la ripresa della malattia neoplastica, tutti gli altri hanno ottenuto vantaggi di vario grado ed in tempi diversi, dall’uso delle terapie proposte in questo studio.

Miglioramenti costanti e nel 100% dei casi sono stati ottenuti nelle lesioni acute.

Molto diverse e particolarmente significative ci sembrano le risposte cliniche ottenute nei pazienti cronici che da anni lottavano per guarire da lesioni da raggi altamente invalidanti. Ci riferiamo in particolare alle guarigioni delle osteoradionecrosi non responsive all’Ossigenoterapia in camera iperbarica e ormai avviate all’amputazione e alla paziente con escare necrotiche del piano perineale presenti da oltre nove anni.

In tutti questi casi ci siamo trovati di fronte a pazienti molto provati che non riuscivano ad immaginare una soluzione al loro problema, dopo lo scoraggiante e costante fallimento di qualunque approccio terapeutico fino ad allora tentato.  La gravità e drammaticità della situazione è sottolineata dal fatto che almeno cinque pazienti ci hanno successivamente confidato che in loro iniziavano a farsi strada pensieri di tipo suicida.

I criteri guida che ci hanno spinto alle scelte terapeutiche proposte in questo studio, mai tentate prima in queste combinazioni da nessun gruppo di ricerca, sono primariamente legate alla fisiopatologia delle lesioni da raggi ed in particolare al danno che è comune a tutte le lesioni, cioè il danno vascolare.

I campi magnetici sono stati utilizzati, come sopra riportato, per gli effetti anti-infiammatorio, osteogenico, angiogenico e per l’effetto ossigeno.

I farmaci omeopatici e omotossicologici, oltre che per gli effetti sul sistema circolatorio, sono stati utilizzati per favorire la disintossicazione dell’organismo, stimolare le funzionalità digestiva-epato-pancreatica e renale.

Poiché i danni da raggi sono dose dipendenti, sebbene possano manifestarsi in tempi differenti da paziente a paziente, riteniamo che anche per l’omeopatia si possano stilare linee guida che suggeriscano l’uso degli stessi prodotti per quasi tutte le situazioni cliniche esposte in questo lavoro.

La dieta ed eventuali integratori alimentari sono utili per minimizzare le possibili carenze alimentari e per un’azione anti-ossidante e potranno essere di volta in volta prescritte.

L’ultrasuonoterapia, con energia di 3Watt/cm2, è stata utilizza per ora in tre casi, di cui uno concluso con successo, mentre due sono attualmente in trattamento, per indurre un più veloce riassorbimento delle zone necrotiche dell’osteoradionecrosi e favorire così l’inizio della ricostruzione tissutale.

 

Conclusioni

  I risultati ad oggi ottenuti ci consentono di orientarci in un modo nuovo rispetto a quanto presentato in letteratura, sia nella prevenzione delle lesioni da raggi, sia nel trattamento delle lesioni acute, sia per la terapia delle lesioni croniche.

I trattamenti preventivi sono facilmente ripetibili e per questo ne consigliamo l’uso, anche per avere conferma della loro efficacia su un campione più vasto di pazienti, secondo le modalità che verranno fornite agli interessati che ne faranno richiesta ed ai quali verranno inviati i moduli necessari per la raccolta dati.

Il trattamento preventivo che ci è parso più efficace e che definiamo trattamento base è l’associazione di risciacqui con acqua borica al 3%, utilizzabile solo su cute integra, seguita da applicazioni di pomata alla camomilla.

Nei casi in cui si possa prevedere un’alta incidenza di lesioni acute, come ad esempio nei pazienti già irradiati nella stessa sede o per le modalità della radioterapia scelta, abbiamo osservato una certa utilità della terapia combinata costituita dall’integrazione di un trattamento omotossicologico disintossicante, RADIUM BROMATUM e applicazioni di pomata alla camomilla.

Qualunque sia il trattamento intrapreso, c’è parso utile proseguirlo almeno per quattro, meglio se per otto settimane dal termine della radioterapia.

Anche per le lesioni cutanee acute il trattamento è facilmente standardizzabile e consiste nell’uso di risciacqui con acqua borica al 3%, se non sono presenti soluzioni di continuo del profilo cutaneo, oppure con una soluzione acquosa di citrato di sodio e saccarosio al 6% in presenza di soluzioni di continuo della cute, entrambe in associazione a sedute quotidiane di magnetoterapia della durata di 30’.

Più complessa la standardizzazione del trattamento delle osteoradionecrosi e delle lesioni cutanee croniche perché oltre alla terapia di fondo, sempre ripetibile e costituita dalla magnetoterapia, potranno via via essere utilizzati provvedimenti dietetici, integratori alimentari, farmaci omeopatici, ultrasuonoterapia, seguendo criteri non fissi, né fissabili in un protocollo, ma gestiti in base alla condizione locale e generale del paziente in cura, oltre che all’esperienza e competenza del medico curante.

Come riflessione finale vorremmo aggiungere che, grazie ai casi delle persone non curabili con le comuni metodiche descritte in letteratura e presentate in questa sintesi, riteniamo da un lato di avere restituito ai pazienti la dignità della propria individualità, dall’altro di aver ritrovato il senso dell’arte medica.  

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