Studio Laffranchi di A.Laffranchi & c. Medicina Integrata
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Tratto dalla pubblicazione
RICERCA PRATICA
Istituto Mario Negri
anno 27, num.1, gennaio-febbraio 2011
pagg. 38-39

Gentile dottor Laffranchi,

   grazie per la sua lettera che ci consente di fare alcune puntualizzazioni. La prima è attorno al termine "omeopatia" (che per definizione è "nulla") che lei usa anche - ci pare - per indicare le pratiche della medicina alternativa - o complementare come oggi si tende a definirla. In queste note faremo considerazioni che valgono per entrambe queste aree.

   I successi da Lei riscontrati nel trattamento di tanti ammalati non trovano spiegazione necessariamente nell'uso dell'omeopatia. Innanzitutto perché non dobbiamo presumere che tutto sia spiegabile attraverso gli strumenti scientifici di cui oggi disponiamo. In assenza di ragioni scientificamente fondate, è arbitrario attribuire un rapporto di causa-effetto a due fatti (trattamento omeopatico e guarigione). Bisogna semplicemente ammettere che non si sa se vi sia relazione e, quand'anche vi fosse, non se ne conosce comunque il motivo.

   Stabilito che non possiamo conoscere tutto né siamo in grado di dare spiegazione a qualsiasi fenomeno, va tuttavia detto che la metodologia clinica ci ha dotato di alcuni strumenti utili per distinguere da mille altri possibili fattori il ruolo dell'intervento medico nel determinare un effetto. Gli studi clinici controllati ci consentono, ad esempio, di stabilire se sia un trattamento o il caso a offrire un dato beneficio; così altrettanto, nei casi da lei proposti alla nostra attenzione, tali studi potrebbero stabilire se siano gli interventi omeopatici o non piuttosto il complesso degli interventi medici a far guarire i suoi pazienti.

   Quando si è cimentata in queste prove l'omeopatia non ha mai dimostrato di produrre un beneficio e la medicina alternativa vi è riuscita solo raramente e in modo non sempre convincente. Noi non sappiamo darci ragione dei successi che il suo gruppo ha registrato. È lei che deve fornirla, seguendo il metodo che oggi conosciamo come capace di documentare l'efficacia e la sicurezza degli interventi medici. Diciamo "deve" e non "può", perché fa parte del dovere medico capire, laddove possibile, che cosa sta alla base dei successi e degli insuccessi della medicina. Nel suo caso, ad esempio, in assenza di prove di efficacia e sicurezza degli interventi omeopatici da lei adottati, il continuare a praticarli - e incoraggiare altri a farlo - potrebbe esporre i pazienti a rischi senza benefici; l'astenersi da queste pratiche laddove vi sia la ragionevole presunzione di una loro efficacia -e il dissuadere altri dall'intraprenderle- significherebbe privare i pazienti di un possibile vantaggio. Di fronte all'incertezza qualsiasi scelta casuale è arbitraria e sbagliata: l'unica soluzione è la sperimentazione.

   Se l'omeopatia e la medicina alternativa vogliono dotarsi di credibilità e decoro scientifico devono sottostare alle regole e alle prove che comunemente si adottano per documentare efficacia e sicurezza degli altri interventi medici. In assenza di queste, perplessità e scetticismo sono non solo leciti ma necessari a tutela della salute dei pazienti. E non solo della salute: da quel che Lei scrive emerge tutta la Sua buona fede; ma non possiamo nasconderci che la non comprensione dei fenomeni è il terreno fertile per speculazioni sordide che fanno dell'omeopatia un mercato ingiustificatamente florido a scapito dei pazienti e a volte anche del Servizio Sanitario Nazionale.

 

 

 

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